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Decima tappa: Torino – Cervere – Torino (prima parte)

La tappa per i ciclisti parte da Savona, la mia da Torino. Sole non ce n’è, è coperto da foschia e nubi. Davide, detto Labionda, detto Lenin, mi sveglia a cuscinate. Buongiorno. Colazione, poi usciamo per le strade del centro. Torino ha vie grandi, grandi palazzi, un’aria ottocentesca seria e imponente. Torino è una città che si specchia sul Po e riflette le montagne, che si sente bella e potente di un passato glorioso, che guarda con sarcasmo al proprio futuro. Torino che è sabauda e capitale a parole, regia e distante da questa epoca, ma attuale e alla moda. I suoi corsi spaziosi e alberati, le piazze di bar e caffè, i portici che coprono negozi chic e donne kitsch. Torino è un riverbero continuo che ti socchiude gli occhi, che ti impone occhiali da sole anche quando è nuvoloso, che quando c’è il sole diventa accecante, che è verde ma non te ne accorgi, che è montagna ma solo da lontano. Torino che è Fiat, ma solo una volta.
Torino è fascinosa ed elegante. Elena mi descrive luoghi e piccole storie, Davide, detto Labionda, detto Lenin, racconta la sua di storia, che è la Torino vista da uno juventino che ha vissuto in questa città l’ultimo scudetto bianconero, mannaggia, il ventottesimo comunque. Piazza Vittorio è luogo pieno di tifo, di coppa alzata alla folla, del saluto del capitano, del suo inchino, del suo commiato. Di alcool e applausi, di cori contro il Toro e l’Inter, di “chi non salta rossonero è” e “più quattro, il gol di Muntari non avrebbe cambiato un cazzo”. Continua a leggere…

Nona tappa: Firenza – Sestri Levante – Torino (seconda parte)

Calda e colorata, un mare limpido, calmo. Sestri si specchia sul Tirreno, come sempre. La gente attende la corsa rosa dal 2006, c’è attesa, gioia, festa. L’ultima volta vinse Horrach, era la 12° tappa del primo Giro di Ivan Basso: partenza da Livorno, 171 km piatti all’inizio, movimentati nel finale. In fuga ci vanno in 14, sull’ultima salita, il Valico di Guaitarola, partono Mori e Sella, prendono un buon margine, sembrano destinati a giocarsi la vittoria, poi la discesa e due cadute frenano la coppia di testa. Mori addirittura ruzzola fuori dal guardrail, Sella ci impatta. Li raggiungono Baliani, Belli, Engels, oltra allo spagnolo della Caisse d’Erpaigne. Quest’ultimo se ne resta sornione, controlla, poi con un allungo all’ultimo chilometro beffa tutti. Gruppo a oltre 7’. Classifica rimescolata, ma non tra i big, che si controllano, fanno qualche scatto, ma niente di che.
Il Quartiertappa è in una scuola, fuori un campetto da calcio nuovo di zecca, qualche giornalista che gioca blandamente. Arrivo al rinfresco ma è già tutto finito, c’era poca roba, mi dicono che il Comune non investito granché, che ha elemosinato qualcosa tra i forni del paese. La focaccia è buona, ma non riempie. Esco a farmi un giro per il paese. Due baie, al centro un promontorio e poi case in stile ligure. Fa caldo, ma l’aria di mare è piacevole e rende innocui i raggi del sole. Gli albergatori si lamentano della crisi del turismo, i commercianti si lamentano della crisi del turismo, la gente si lamenta delle lamentele di tutti. Meno male c’è il Giro, che è un buon diversivo per non pensare alle noie di tutti i giorni. Due ragazzi mi raccontano che Sestri è una città record: 6000 patenti ritirate in due anni per tasso alcolico fuori norma, un milione di euro di incasso. Pochi soldi alla comunità.
In sala stampa è in corso la presentazione della nuova pubblicazione de ‘La Gazzetta dello sport’ sulla storia del Giro d’Italia. Marco Pastonesi, Pier Bergonzi e Claudio Gregori presentano l’opera con un ospite d’eccezione: SuperMario Cipollini. L’ex campione del mondo e recordman di successi nella corsa rosa parla, discute di ciclismo, della corsa che si sta muovendo per il paese, di Cavendish, suo erede ma nemmeno troppo. Si lamenta per il poco coraggio degli atleti, per una corsa un po’ monotona, per la mancanza di un vero leader carismatico. Com’era lui, come lo è ancora. Lo vedi parlare e capisci di avere di fronte un capo naturale, non per arroganza o vanagloria, ma per carattere e personalità. Interviste di rito, spazio per i fotografi, poi si presta con gentilezza a farsi ritrarre con il logo di Salva i ciclisti: lui ciclista lo è stato, ciclista lo è ancora, in bici ci va regolarmente e se la carta d’identità non dicesse 42 anni, non te ne accorgeresti nemmeno che sono ormai 5 anni che non domina le volate. Una carriera durante la quale ha vinto tutto quello che uno sprinter può vincere: 189 vittorie, 42 tappe al Giro, 12 al Tour, 3 alla Vuelta, una Milano-San Remo, una Gand-Wevelgem. Da piccolo me lo ricordo che sovvertiva l’immagine del ciclismo, la svecchiava: maniche arrotolate alla spalla per evitare l’abbronzatura da muratore, tutine con fantasie strambe per stupire, caschi aerografati come i motociclisti, bici sgargianti, modi di fare fuori dalla norma. Ricordo il body da cronometro che ritraeva le fasce muscolari, quello leopardato. Stile, un po’ tamarro certo, ma terribilmente diverso da quello dei suoi colleghi. Continua a leggere…