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Il tempo è finito, il tempo è iniziato: girodiruota

GIRODIRUOTAManca poco ormai, settimane. Giroinseconda si pensiona, credo, e lascia spazio e avventure al suo leggittimo figlio, Girodiruota. Qui potete trovare il nuovo blog: girodiruota.wordpress.com
Il viaggio sarà diverso, ma sarà sempre viaggio, forse più viaggio dell’ultimo. Partenza a Napoli, poi Ischia, poi boh. Su per l’Italia a pedalare.
Tra poco si parte. L’allenamento è scarso, come la condizione. Poco importa, si parte lo stesso perché è giusto così, è buono così.

da Giroinseconda a Girodiruota

girodiruotaIl 9 maggio dello scorso anno partiva Giroinseconda, il racconto di un Giro d’Italia seguito dai treni regionali. Oggi, quasi un anno nuovo parte un nuovo progetto: Girodiruota. L’idea è semplice. Partenza da Napoli, sede di partenza del Giro d’Italia, e poi su verso nord, verso Brescia. Questa volta niente treni però, solo le due ruote di una bicicletta, che per l’occasione mi verrà data da i miei sponsor, che mi terranno compagnia per i 23 giorni di gara, per loro, quelli che corrono.
Il mio Giro d’Italia seguirà quello vero dai bar sport, per capire un po’ se questo sport parli ancora alla gente, smuova ancora appassionati e gente normali, insomma sia ancora il giro degli italiani. Bar sport ma non solo, c’è altro. Girodiruota sarà l’occasione per parlare di mobilità. Non solo di bici, ma di mobilità a tutto tondo, perché il ciclismo, i suoi miti e le sue leggende, dovrebbero occuparsi anche di questo. Rendere ciclabile un paese, dare la possibilità alle persone di muoversi in libertà e in sicurezza.
Manca poco alla partenza. Sto progettando un po’ di cose, percorsi, interviste, storie da raccontare. Sto cercando anche almeno un’altra sponsorizzazione che mi permetta di affrontare le spese del viaggio. A breve partirà anche una campagna di crowdfunding.
Per cui se avete suggerimenti, opinioni in merito, un’azienda pronta a credere nel progetto non esitatemi a contattarmi. Questo è l’indirizzo mail: giovannibattistuzzi@gmail.com
Grazie di tutto già da ora.

Giovanni Battistuzzi

Diciannovesima tappa: Milano (seconda parte)

Marco Pinotti. Vince l’ingegnere. È soddisfatto il bergamasco della Bmc nonostante l’idea di far classifica si sia arenata contro lo scoglio degli anni che passano e di una gamba che, almeno nelle tre settimane, non è più quella di una volta. L’ultima cronometro è sua, ora la lotta vera, quella per la vittoria finale. Nessuna passerella com’era accaduto l’anno scorso, con Contador già sicuro da almeno una settimana di aver fatto suo il Giro, salvo poi dover ridare indietro maglia e trofeo a causa della squalifica per la positività al clenbuterolo al Tour 2010. Alla partenza i primi quattro sono concentratissimi, nell’aria c’è tensione. Joaquim Rodriguez è primo con 31” secondi di vantaggio su Ryder Hesjedal, 1’51” su Michele Scarponi e 2’18” su Thomas De Gendt. Gli altri più distanti, fuori dai giochi. LA cronometro è stata accorciata di un chilometro e mezzo e ora misura 28,5 km. Poco cambia. Hesjedal è il favorito, Purito però si è detto fiducioso. Qualche giornalista ha rimesso in ballo il nome del belga della Vacansoleil per la vittoria finale, ma due minuti sono tanta roba da recuperare e Thomas non fa di cognome Indurain o Armstrong e non è tantomeno un Cancellara.
I primi, che poi in realtà sono gli ultimi a salire in bicicletta, partono, uno dopo l’altro. De Gent inizia calmo poi inizia ad ingranare, Scarponi è agnello sacrificale perché a cronometro non è mai andato forte e i 27” di vantaggio sul 4° sono un lampo a perdersi per strada. E infatti a metà ancor prima di metà percorso il marchigiano inizia a salutare anche il gradino più basso del podio, che prende e se va, travalica i confini italiani e atterra nelle Fiandre, a casa De Gendt. Era dal 1995 che il podio non batteva tre bandiere straniere. Primo Tony Rominger, secondo Evgenij Berzin, terzo Petr Ugrumov. Prima di allora era successo altre tre volte: nel 1988 Hampsten, Breukink e Zimmermann, nel 1987 Roche, Millar, Breukink e nel 1972 Merckx, Fuente, Galdós. Continua a leggere…

Diciannovesima tappa: Milano (prima parte)

È ora di alzarsi. Ultimo giorno di gara. Crono finale. Tutto si decide. Vincitori e vinti, gloria e rimpianti. In due per la vittoria, in due per il terzo posto. Poi qualcuno potrà guadagnare un posto, forse due, qualcuno li perderà, ma sono posizioni buone per statistici, per i beppeconti della situazione, perché tanto la gente, quella che si fa i chilometri per vedere i corridori salire in salita, sprintare, vincere e cadere, ama tutti ma ricorda solo il vincitore, i vincitori, al massimo chi sale sul podio. È questo che conta ormai.
Alzo la tapparella e con sorpresa noto che anche a Milano qualche volta c’è il sole. Non l’avrei mai detto perché non me l’hanno mai detto, sempre a lamentarsi che a Roma, si sta meglio perché a Roma c’è il sole. Mi preparo ad uscire e il sole però è già sparito, la foschia ha preso possesso di tutto e le nubi sono in avvicinamento. Oggi tutti a piedi, lo impone Pisapia, lo impone l’innalzamento delle polveri sottili e meglio bloccare la città oggi che c’è il Giro, piuttosto che dover sfidare i milanesi un’altra volta. Non so se i sindaci credano davvero a questa formula, oppure la utilizzino solo per far vedere che hanno a cuore il nostro benessere polmonare e che provano davvero a rendere le città più respirabili. Lasciamoli lavorare, amministrano il bene comune in modo talmente accurato e preciso che sarebbe sbagliato crocifiggerli per queste cose. Domenica a piedi e coscienza lavata, ripulita almeno sino al prossimo allarme polveri sottili, alla prossima alternanza di targhe, al prossimo blocco del traffico.
Piazza del Duomo è un tripudio di gente che curiosa si aggira tra stand pubblicitari, magliette e palloncini rosa. I bambini corrono per passare il tempo prima dell’inizio della corsa, prima della sfilata dei loro beniamini, che quest’anno sarà meno parata e più battaglia perché in palio c’è la maglia rosa e il podio, mica cosa da ridere. Continua a leggere…

Diciottesima tappa: Trento – Passo dello Stelvio – Milano (terza parte)

Lo Stelvio incorona Thomas De Gendt, 25enne della Vacansoleil, autore di un numero pazzesco, di uno scatto secco sul Mortirolo e di una strenua difesa sulle rampe del Gigante, il passo più alto d’Italia, il secondo d’Europa. Vince De Gendt che prova a spaccare la corsa, che a 8 km dall’arrivo sfiora la rosa virtuale per 8”, che alla fine recupera posizioni, cinque, e minuti, tre e ventidue, e si piazza quarto con vista podio considerando le sue buone doti da cronoman e quelle non eccezionali di Michele Scarponi.
Bravo il belga, bravo crederci, a resistere, a combattere. Bravo anche Carrara, scudiero e artefice di un super lavoro per riportare sui primi il compagno appena evaso dal gruppo dei big. Là davanti c’era anche Cunego, all’ennesimo tentativo da lontano in questo Giro d’Italia, discreto ma nulla di più. Questa volta il veronese lotta, resiste, ma deve arrendersi al giovane fiammingo. Sarà secondo, sarà battuto, ma almeno questa volta da un uomo soltanto. Continua a leggere…

Quindicesima tappa: Laives – Cortina d’Ampezzo – Conegliano (seconda parte)

La corsa si accende sulla Forcella Staulanza, deflagra sul Passo Giau. Sulla terza salita giornaliera Caruso della Liquigas impone un ritmo indemoniato, in molti si staccano, selezione da dietro si dice in gergo. Tra i tanti perde terreno pure Roman Kreuziger. Il ceco è stanco, perde uno-due-tre-dieci metri, alza bandiera bianca, si ritrova a boccheggiare a maledire salita e pedali. Finirà ad oltre 11’, finirà per dire addio a sogni di gloria e di alta classifica. Gli altri rimangono a ruota, dietro alla Liquigas, dietro a Basso. Poi la discesa e il Giau che si erge a giudice. Capecchi fa ritmo pesante, poi si stacca sfinito e lascia il suo capitano da solo. Il varesotto da due strinate che fanno male e sgretolano il gruppo. Rimangono in sei, dietro Nieve da solo a cercare di rientrare sui migliori, alle spalle un gruppetto più nutrito che fatica e cerca di non perdere troppo. Tra questi Cunego e Intxausti. Gadret è con loro, ma esce e cerca di ritornare sui primi, prova a rinverdire i ricordi di un anno fa, quando non perdeva terreno, quando salì sul podio, ma solo sulla carta, ma solo post squalifica di Contador. Il francese raggiunge Nieve, poi viene rimbalzato. In discesa vengono ripresi, chiuderanno nel secondo gruppo. Continua a leggere…

Tredicesima tappa: Milano

Il Giro si riposa e cerca di recuperare energie per il gran finale. Cortina d’Ampezzo, Alpe di Pampeago, Passo dello Stelvio, tre tappe tre da vertigine, tre tappe tre che decideranno il Giro, che lo accenderanno, si spera, che proclameranno i vincitori, i vinti, sorprese e delusioni. Poi la cronometro conclusiva, a Milano, per rimettere ancora tutto in discussione se non c’hanno pensato le montagne, per perfezionare classifica generale e distacchi.
Mancano 955 km alla conclusione, di questi 153,3 in salita, con il naso all’insù verso cime che hanno fatto la storia, più o meno recente, della corsa rosa. Perché il Giro lo fanno i corridori e le loro azioni, ma lo scenario a volte fa la differenza, permette di dipingere meglio i particolari in primo piano, risalta il rosa, la fatica, le imprese.
Per arrivare a Cortina gli atleti si troveranno di fronte Valparola, Duran, Staulanza e Giau, poi una picchiata di 20 km, anch’essi buoni per attaccare, per fare selezione. Salita difficile il Giau, 10 km al 9,3% con pendenze che salgono al 14%, discesa tecnica, nella prima parte, veloce nella seconda. Sarebbe stato finale perfetto per Nibali; lo squalo dello Stretto però farà il Tour. Qualcosa potrebbe fare Scarponi o Kreuziger, perché Basso può essere staccato, Joaquim Rodriguez un po’ meno. Continua a leggere…

Undicesima tappa: Torino – Breuil-Cervinia – Milano (prima parte)

Torino la lascio il mattino e non so quando la rivedrò. Mi è piaciuta, è una città a misura d’uomo, grande ma non enorme, ci si può camminare e ci si può girare in bici, almeno a quanto mi hanno detto, ma l’ho vista a maggio, che dovrebbe essere primavera, “ma qua piove quasi ininterrottamente da una mese circa”. Maria è una signora sulla cinquantina, torinese che ama la sua città, che non la vorrebbe lasciare mai, “nonostante per anni è stata rovinata da politicanti che si sono interessati un po’ troppo agli affari loro e un po’ meno a quelli della città. Si è messa a posto un po’ con le Olimpiadi, ci sarebbe ancora da migliorare, ma tutto sommato va bene così”. Fassino? “Per ora non ha rovinato niente, è già qualcosa”. L’ha stessa domanda l’ho fatta a Davide, detto Labionda, detto Lenin, che è qui da poco, ma lavorando in giornale probabilmente qualche sentore di come va la città l’ha percepito. “È magro”, ha risposto.
A Cervinia ci si arriva in un modo solo, che poi in realtà sono due: due treni, cambio a Chivasso o Ivrea, poi sino a Châtillon. Il problema è che se vuoi partire a metà mattina non puoi. “Hanno eliminato il treno di mezzo per Chivasso. O alle 8, se sei un lavoratore, o a mezzogiorno. Moretti ha tagliato i fondi regionali, l’amministrazione ha tagliato i treni e i viaggiatori si tagliano le palle”, mi dicevano ieri in stazione. Poco male. Alle 10:00 c’è un pullman che porta a Ivrea, coincidenza di mezzora con il treno, buona per non rimanere fregato da eventuali e possibilissimi ritardi. Quando si viaggia in Italia questa ipotesi va sempre presa in considerazione perché c’è sempre la possibilità, più qui che altrove, che qualcosa vada storto. Se poi devi arrivare in un posto ad una certa ora e non sei del luogo e quindi non conosci l’andazzo generale è meglio che parti prima, che è meglio attendere piuttosto che dover annullare l’appuntamento per cause di forza maggiore. Continua a leggere…

Terza tappa: Ancona – Porto Sant’Elpidio – Pescara (prima parte)

Continua il viaggio verso sud lungo l’Adriatico. Quando apro gli occhi il sole splende già in cielo. Sono le nove ma già si capisce che sarà un giorno caldo, il più caldo dalla mia partenza. Mi dirigo verso il centro di Ancona, passeggio per un quartiere popolar-residenziale dietro alla stazione che si alza verso l’alto tra stradine in pendenza e alberi che sprigionano tutto il loro polline. Di aria nemmeno il sentore e l’afa mi si posa addosso come il budello sul salame. Vago senza meta per un po’ tanto il treno che mi porterà a Porto Sant’Elpidio è distante ancora un paio d’ore. Intorno mi si presenta una città che un tempo era stata importante, che presenta ancora una sua peculiarità, ma che capire quale è, è cosa difficile se non impossibile. Sembra compiacersi di starsene distesa tra monti e mare a rimirare sé stessa nell’acqua tiepida dell’Adriatico, senza chiedersi mai cosa c’è attorno, senza chiedersi mai se la propria immagine possa rassomigliare a qualcosa. Continuo così a camminare tra palazzi settecenteschi o giù di lì, qualche accenno barocco e romanico, calpestando il selciato del centro e zigzagando su e giù tra pendii più o meno pendenti. Da certe viuzze scorgo il porto e poi laggiù, oltre, il mare che è di un blu che risalta tra il pastello delle costruzioni che mi circondano. La temperatura si alza e mi si appiccica ancor più addosso. Il monte Conero mi guarda dall’alto e blocca il venticello che soffia da sud. Il mare non mitiga, anzi. Una donna arranca in salita, maledicendo l’estate. La montagna o meglio, come la chiama Felice, la collina rimane impassibile fregandosene delle cattiverie della gente. Osserva il formicaio della città muoversi rimanendo immobile con il suo carico di leggende e miti. Improvvisamente una forte brezza scompiglia i capelli alla gente per poi sparire altrettanto all’improvviso. Il soffio del Conero. Un signore ne parla alla sua figlia che avrà suppergiù una decina d’anni. Le racconta delle grotte del monte, di alcuni segreti che nascondono. Parla del Buco del Diavolo, un lungo cammino sotterraneo che si perde nei meandri della montagna e che è un vero e proprio labirinto, al fine del quale c’è nientemeno che l’altare del demonio, oltre ad una chioccia d’oro massiccio, perché in qualsiasi leggenda che si rispetti è necessario il premio, il motivo che spinge ad intraprendere una ricerca. Il padre è bravo, ha tempi scenici e una voce baritonale che fa tremare. La bambina è rapita, vuole un’altra storia. Io continuo a bere il caffè facendo finta di leggere il giornale locale di Ancona. Non voglio rovinare il loro momento intromettendomi, ma non voglio neppure perdermi quelle storie. Rimango in silenzio. Il padre finisce di pensare e ne inizia un’altra. Questa parla di mare e di due scogli, le Due Sorelle. “Papà ti ci porta non appena lo zio ci presta la barca. D’accordo?”. La bambina esulta. Il mare è come la montagna, genera miti e storie fantastiche perché non lo si può controllare, non lo si può domare, è lui che comanda e tu devi interpretarlo e adeguarti a lui. Continua a leggere…

Prima tappa: Roma – Verona – Bologna

“Eo che quel zaino pien de nient? Cosa te fa? Te parti? Da solo?”.
“Sì”.
“E par dove?”.
“Grecia”.
“E parché?”.
Alla mia esitazione, il vecchio Beppo mi guardò e, con fare da saggio, diede lui la risposta per me.
“Se parte sol che par do motivi: o te scapi da qualcosa o te tzerchi qualcosa”, detto questo ingollò il suo primo bicchiere di prosecco della giornata, nove e qualcosa della mattina, e mi augurò buon viaggio.
Avevo vent’anni, il primo anno di università alle spalle e un’estate da barista in una delle tante spiagge stanche della riviera veneta, per raggranellare un po’ di soldi. Mi ero completamente dimenticato in questo tempo di Beppo e di quel suo discorso, nonostante lo veda sempre quando torno a casa #1, nonostante lui non sia cambiato per niente nonostante i sette anni trascorsi: seduto al bar, bicchiere in mano e Gazzetta dello Sport il mattino, Corriere e Gazzettino il pomeriggio. Mi è venuto in mente adesso che sto partendo di nuovo. L’altra volta c’ha avuto ragione: partivo per scappare, forse, perché mi sentivo di perdermi e stare lontano da impegni, scadenze, ecc.; ora non so perché sto partendo, ma sono abbastanza sicuro che me lo dirà il tempo. Quello che so è che c’è un Giro d’Italia da vedere da vicino.
Questo progetto è partito all’improvviso, in un paio d’ore di una mattina di un giorno di maggio. Tre tappe se ne sono già andate, ma erano su al nord, nella piana danese, è successo poco o nulla, quindi poco male. Ieri il carrozzone è rientrato in Italia, ha riposato per riprendersi dal lungo trasferimento e oggi è ripartito, da Verona e proprio da Verona parte la mia rincorsa al Giro.
Parto da Roma, perché lì mi trovavo, tappa a Bologna e su verso Verona. Non appena scendo dal treno una vampata di caldo mi investe, il sole è lieve e non batte troppo, ma l’afa è già presente e probabilmente aumenterà nel pomeriggio. Un vecchietto vede il mio disappunto per le condizioni climatiche e mi fa “e nel pomeriggio non migliorerà, non c’è ancora accenno del vento del Garda, ti tocca soffrire”. Continua a leggere…